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Fra macchine, nonni e fidanzate perse

Un proficuo sabato col marchio della “typewriter passione”. Insieme a un quasi romagnolo, il pesarese Filippo, sabato scorso ho avuto il privilegio di visitare la città di Crema, patria dell’Everest. Qui nei primi anni ’30 iniziò la produzione in serie di macchine per scrivere e macchine per il calcolo. Cominciò a dare fastidio la piccola ditta, nata dall’ingegno di alcuni soci che prima avevano già realizzato macchine (Diadema, Sabb, Juventa) in quel di Milano. Cominciò a dare fastidio al già colosso Olivetti tanto che, ad un certo punto, non potendo sconfiggerla definitivamente Ivrea si mangiò Crema e i due divennero una carne sola.

Dapprima abbiamo incontrato un arzillo 96enne che, nel 1934, iniziò a lavorare per la Società Anonima Serio (questo il nome corretto dell’Everest) come montatore. Ricordi e aneddoti vecchi di 80 anni: una vita!

Col nostro fido scudiero, un’eroica Pandina a metano, siamo poi andati a caccia di quel che rimane dell’Everest. Rimangono tristezza e desolazione, vecchi capannoni abbandonati e fatiscenti con la vegetazione che sta avendo il sopravvento. Abbiamo scattato tantissime foto all’interno degli ampi spazi dalle finestre rotte e senza porte. Per fortuna che il nonno non era con noi: avrebbe pianto pensando alla sua giovinezza passata fra lamiere e tasti in un vorticare di lavoro e consegne, mentre oggi tutto è spazzato dal vento e consumato dalla pioggia.

Ma questio ricordi, che ancora trasudano, saranno fissati, insieme alle foto, in un libro che il sottoscritto e il titolare del Museo (Domenico Scarzello) stanno approntando. Entro un anno il poderoso volume vedrà la luce.

Tornando a noi, abbiamo concluso il viaggio con una visita al museo civico di Crema che ha anche una sezione dedicata alle macchine per scrivere. Questa parte di museo è stata davvero una delusione. Ci aspettavamo più macchine, più storia, più orgoglio, più consapevolezza che una fabbrica del genere ha rappresentato, per decenni, il perno dell’economia. Invece il nulla, o quasi. Poche macchine, di cui non più di 4 o 5 interessanti, un po’ di materiale cartaceo e nulla più.

Quasi come a Ivrea, anzi, peggio: la storia di queste aziende è ancora troppo fresca, così come la delusione per averle perse. Come quando una fidanzata, splendida, ci lascia: per dimenticare il dolore cerchiamo di non averci più nulla a che fare.

Firmato

Il Remington della Romagna