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Quando la storia batte un colpo

Quando entusiasmo e passione, nonché una spiccata propensione all’ospitalità e alla cura dei dettagli, sono il collante di un’iniziativa, state pur certi che il successo è assicurato. E così è stato domenica 9 giugno quando i collezionisti dell’Associazione delle macchine per scrivere, del calcolo e dell’ufficio d’epoca sono stati convocati a Bra (Cuneo) per l’inaugurazione ufficiale del museo della scrittura meccanica-collezione Scarzello.

Ospiti della Bra Servizi, i collezionisti provenienti da tutta Italia hanno potuto ammirare quanto Domenico Scarzello ha raccolto, restaurato, riparato e reso fruibile nel corso di quasi 20 anni. E il museo è frutto di un connubio del tutto originale: la passione per le typewriters da parte del collezionista e quel pizzico di pazzia da parte della Bra-Servizi, in particolare del fondatore Giuseppe Piumatti, che ha concesso gli spazi e ha investito negli allestimenti. Una pazzia che non è nuova in casa Bra Servizi, dato che alcuni anni fa in uno spazio attiguo è stato creato il museo della bicicletta.

Ma torniamo alla giornata di domenica. Fin dalle 8 del mattino (dopo preparativi durati settimane…) Scarzello, sua moglie Sonia, alcuni impavidi dipendenti della Bra Servizi e un paio di amici si sono dati da fare per gli ultimi ritocchi: qualche cartellino illustrativo mancante, una macchina al posto dell’altra, una vetrina da pulire, il buffet da sistemare, una M1 da aggiungere, una macchina placcata oro da lucidare e altre “inezie” simili. Il tutto affinchè ogni dettaglio fosse al proprio posto in vista dell’arrivo dei collezionisti.

E dopo aver sistemato alcuni oggetti d’arte “modernissima”, aver accreditato i visitatori e salutato ogni ospite, la parola è stata data al presidente Ugo Armaroli per il benvenuto di rito, il tutto sotto al coordinamento del segretario Pierantonio Casagrande.

Che Scarzello fosse un collezionista animato da una passione al di sopra della norma lo si è intuito dal discorso introduttivo, quando ha spiegato l’origine della sua collezione. Prima di tutto ha ringraziato Angelo Chiarle per avergli insegnato i primi rudimenti e per avergli suggerito le “malizie” di un bravo restauratore. Poi gli occhi gli si sono illuminati quando ha descritto l’interesse che le visite guidate destano nei più giovani, che siano bambini delle elementari o ragazzini delle medie. Il nuovo museo è un continuo andirivieni di classi con bambini e insegnanti alla scoperta di un mondo ormai superato, ma che continua a vivere grazie alla pazienza dei restauratori e allo stupore dei visitatori.

L’assemblea è poi proseguita con alcune formalità di rito ed ha accolto il patron Giuseppe Piumatti, il quale ha ricordato che Bra Servizi trae le sue origini da un’intuizione di oltre 20 anni fa, quando lui stesso iniziò con un solo automezzo e oggi la ditta è una delle maggiori nel settore della gestione e riciclaggio rifiuti oltre ad una lunga serie di servizi grazie alle proprie società controllate.

E’ toccato poi a Carlo Torchio descrivere brevemente la storia delle portatili Olivetti, rifacendosi a un recente opuscolo pubblicato e all’esposizione curata da Scarzello in un’altra sala della ditta.

Sarebbe ovvio poi descrivere che la giornata è stata scandita da altri due momenti: il pranzo e la visita guidata al museo. Oppure potremmo continuare questo articolo descrivendo le singole macchine, ma ne lasciamo il compito alle immagini che fin dai prossimi giorni arricchiranno l’apposita sezione del sito www.typewriterstory.com.

Invece vale la pena soffermarsi sull’atmosfera che si respira entrando nella sala conferenze di Bra Servizi, dove sono ospitate oltre 250 macchine.

Non è una mera esposizione, non è come essere al supermercato dove si osservano tanti prodotti esposti. No, piuttosto occorre calarsi e immedesimarsi in due momenti differenti della storia. Prima di tutto quando le macchine furono realizzate, cento o più anni fa per molte di esse, oppure “solo” 80 o 70 per altre. Occorre chiudere gli occhi, farsi aiutare dalla sapiente illuminazione che rende giustizia alla tecnica e alla meccanica delle macchine e mette nell’oblio il resto della sala. Con questo esercizio si può immaginare il ticchettio che i martelletti, per milioni di volte, hanno provocato lavorando in uffici in America piuttosto che a Torino, in Germania ai primi del ‘900 piuttosto che in un albergo di Milano presidiato dalle truppe tedesche nel 1944. Ecco, ora la mente vive la prima storia, la comprende e, con un passo indietro ulteriore, entra nella genialità di ogni singolo progettista, di coloro che riuscirono a far combaciare e funzionare fino a 6000 pezzi meccanici, quando ancora l’elettronica, o fosse solo il movimento elettrico, erano fantascienza.

Poi si devono chiudere di nuovo gli occhi: le macchine conoscono la solitudine all’interno di fredde scatole di metallo o involucri di legno. Talvolta l’umidità le assale, la ruggine le corrode, il tempo ne ha il sopravvento. Passano i decenni e la storia riprende: ecco, siamo nella seconda fase, quella in cui l’appassionato squarcia il velo del tempo, fa penetrare un raggio di luce nella scatola e, come un moderno genio della lampada, ridona vita alla macchina dimenticata togliendone la ruggine, smontandone pezzo per pezzo, pulendo e riparando le rotture, riverniciando quando serve.

E la macchina torna in vita, la storia, volendo, si ripete, l’ammirazione si impossessa dei cuori dei visitatori e la storia rimane fissata.

Ecco, questo è collezionismo, questo è un museo. Questa è la passione. Se credevate altro, cambiate indirizzo.